STAGIONATURA DELLE PLANCE

Un volta tolto dalla pianta, il sughero viene stagionato in modo da fargli perdere l’acqua di vegetazione (o accrescimento) e garantire che sia omogeneamente suberificato (come detto la sua funzionalità si ha quando tutte le cellule si svuotano dal materiale di riproduzione).

A questo punto le cortecce si presentano in forma incurvata e sono molto poco flessibili, anzi piuttosto polverulente e fragili. Il sughero, in questa fase del processo di lavorazione, viene chiamato sughero crudo, proprio per differenziarlo da quello che subirà l’operazione successiva di bollitura, e che appunto prenderà il nome si sughero bollito o sughero preparato. La fase di stagionatura, secondo il Codice Internazionale di Buona Pratica4, deve durare almeno 6 mesi dalla decortica, quindi in linea di massima fino alla metà dell’inverno successivo. La stagionatura, in passato, veniva spesso effettuata in foresta, per ridurre i costi di trasporto e di accatastamento.

Una grande pila di plance di sughero in foresta

La permanenza, durante un periodo così lungo, del sughero a contatto con il terreno in un ambiente naturale favoriva la contaminazione batterica e fungina delle corteccie, aumentando il rischio di accumulo di sostanze che deviavano in modo negativo l’odore del sughero. Per ovviare a questo problema, le buone pratiche odierne obbligano ad effettuare la stagionatura su suoli adeguati ed inerti, distanziando dal suolo le cortecce e mantenendole comunque in ambienti aerati e senza ristagno di acqua.

Pile realizzate su pallet metallici e terreno idoneo in stabilimento

BOLLITURA

Per conferire al sughero la morbidezza e l’elasticità necessarie alla sua funzionalità, questo deve essere bollito e “stirato”, cioè trasformato dalla forma curva a quella in tavole. Le tavole ottenute prendono il nome di plance di sughero. Il termine deriva dallo spagnolo planchar e dal francese planche, che a loro volta derivano dal latino planca (asse, tavola). Planchar in spagnolo significa, appunto, stirare.

L’operazione di bollitura, soprattutto per cortecce di dimensione importante, è dispendiosa in termini energetici e richiede installazioni fisse abbastanza importanti: necessita infatti di un contenitore di adeguata capacità e volume, in materiale adatto a resistere al fuoco (un grande calderone), e di un sistema di riscaldamento costante che, prima dell’avvento degli impianti a gas naturale, richiedeva una continua alimentazione di legna.

Sistemi antiquati di bollitura con vasche in muratura e riscaldamento a legna

Quello che appare più probabile, invece, è che la scoperta della morbidezza e resilienza del sughero, associate alla sua innata leggerezza, sia un effetto collaterale del suo utilizzo protostorico. È noto che già nella preistoria la corteccia della sughera era utilizzata come “piatto di portata” (cosa che avviene ancora oggi in Sardegna, Spagna e Portogallo) e che il legno della sughera si usava per la produzione del carbone. La tecnica della trasformazione della legna in carbone (carbone vegetale) è nota dalla preistoria e la tecnologia di produzione è rimasta la stessa per millenni. Il legno della sughera è estremamente adatto alla trasformazione in carbone, mentre non lo è assolutamente la corteccia, che però è un ottimo isolante termico ed è praticamente ininfiammabile. È logico dunque supporre che le carbonaie nelle zone popolate da sughere fossero ricoperte, prima dello strato di fogliame e terra, proprio dalle cortecce. Una volta terminata la cottura del carbone, le plance di sughero avrebbero assorbito l’umidità del processo e il calore, risultando morbide e tale morbidezza sarebbe durata nel tempo. Simile la trasformazione del sughero usato come piatto: l’alimento lo avrebbe riscaldato a sufficienza e un risciacquo in acqua fredda avrebbe fornito l’umidità. In qualche tempo di utilizzo il sughero sarebbe risultato morbido e flessibile.

Sistemi di bollitura tradizionali automatizzati

Una volta resa morbida e flessibile la corteccia, per ottenere le tavole basta appoggiarci sopra dei pesi per un certo tempo fino a farle raffreddare e quindi, con strumenti adatti, procedere a una lavorazione a taglio per ottenere il manufatto richiesto.

Le buone pratiche applicate oggi a questa operazione sono rivolte soprattutto al controllo di tre parametri fondamentali: qualità dell’acqua, temperatura e tempo di bollitura e cambio dell’acqua.

La qualità dell’acqua è ovviamente un requisito figlio dei tempi moderni, anche se potrebbe essere stato plausibile un inquinamento delle falde anche prima della rivoluzione industriale. Va detto che la maggior parte delle aziende del sughero che eseguono la bollitura utilizzano acqua di pozzo, che quindi può essere soggetta ad inquinamenti anche provenienti da molto lontano. Viene richiesta a tutte le aziende un’analisi molto completa dell’acqua utilizzata per la bollitura, in modo da avere la certezza che non vi siano contaminanti, sia organici che inorganici, che possano essere trasferiti al sughero o addirittura accumulati dal sughero stesso.

La temperatura ed il tempo di bollitura sono essenziali per la riuscita dell’operazione. Considerando che uno degli obiettivi della bollitura è anche quello di pulire e sterilizzare il sughero, è essenziale che l’acqua sia in ebollizione per almeno un’ora. È ovvio che la rapidità con cui l’acqua bollente, dopo che vi viene immerso il sughero, ritorna alla temperatura di ebollizione dipende dalla capacità energetica della fonte di calore e quindi il tempo di un’ora deve essere preso dal momento della ripresa di una vigorosa ebollizione.

L’ultimo parametro fondamentale è il cambio dell’acqua. Fino alla fine del XX secolo, molti “preparatori” cambiavano l’acqua non più di una volta alla settimana. In tal modo, essendo le caldaie di grandi dimensioni, non dovevano mai riscaldare completamente la massa d’acqua, ma solo riportare a temperatura una massa già calda. L’operazione di bollitura, però, assomiglia un po’ al lavaggio di una pezza di stoffa macchiata di inchiostro in un secchio. Quando si inserisce la pezza in acqua, l’inchiostro si scioglie e la pezza esce (quasi) pulita. Se nella stessa acqua inserisco una seconda pezza macchiata, la macchia svanirà ma la pezza sarà omogeneamente un po’ colorata. Se si esegue questa operazione ogni due ore per una settimana nella stessa acqua, alla fine ci sarà più inchiostro che acqua nel secchio. Quindi, dopo alcuni cicli, l’acqua deve essere sostituita.

Oggi esistono sistemi innovativi che sostituiscono la bollitura per immersione in acqua con quella effettuata attraverso l’applicazione di vapore in sovrappressione, con un aumento dell’efficienza della pulizia, demandando l’eliminazione di tannini e polifenoli (le molecole colorate del sughero) ad operazioni di risciacquo successive.

4            CELIEGE. C . I . P . B . Codice Internazionale delle Pratiche per la Produzione di Tappi in Sughero ( ai sensi del regolamento ( CE ) n . 2023 / 2006 della Commissione del 22 diciembre 2006 sulle buone pratiche di fabbricazione dei materiali e degli oggetti destin. 2018.