Sappiamo da varie fonti storiche che il sughero è stato utilizzato dall’uomo fin dall’antichità e conosciuto nei dettagli. Numerose sono le citazioni o i capitoli dedicati alla quercia da sughero e al sughero come prodotto utilizzato nella vita quotidiana nella letteratura di tanti autori greci e latini.
Il filosofo greco Teofrasto (371 a.C. – 287 a.C.), nel 4° secolo a.C., parlava nei suoi trattati botanici della capacità della quercia da sughero di rinnovare la sua corteccia in circa tre anni dopo che era stata rimossa, e la pianta ne traeva vigoria e longevità. (Teofrasto III, XVII, 1)14
In Grecia gli alberi di sughero, proprio per la loro capacità di rinnovare la loro pelle rugosa con una migliore, erano adorati come simboli di libertà e onore, ragion per cui solo i sacerdoti erano autorizzati a tagliarli e le querce da sughero erano consacrate a Giove.
Plinio il Vecchio (23 d.C. – 79 d.C.) ci ha tramandato nella sua Naturalis Historia XVI, XIII15 altre informazioni sul sughero:
Suberi minima arbor, glans pessima, rara, cortex tantum in fructu, praecrassus ac renascens atque etiam in denos pedes undique explanatus. usus eius ancoralibus maxime navium piscantiumque tragulis et cadorum obturamentis, praeterea in hiberno feminarum calceatu. quamobrem non infacete Graeci corticis arborem appellant. sunt et qui feminam ilicem vocent atque, ubi non nascitur ilex, pro ea subere utantur in carpentariis praecipue fabricis, ut circa Elim et Lacedaemonem. Nec in Italia tota nascitur aut in Gallia omnino.
La sughera è un albero molto piccolo, la ghianda è pessima e rada, il suo prodotto utilizzabile è solo la corteccia, molto spessa e che ricresce dopo essere stata tolta, perché può essere stesa fino a dieci piedi per lato. Il suo uso principale è come galleggiante di ancoraggio e delle reti dei pescatori, e come tappo dei recipienti per il vino; inoltre è usato per le calzature femminili invernali. Per questo i greci li chiamano non impropriamente alberi della corteccia. Ci sono anche quelli che lo chiamano leccio femmina e, dove non nasce il leccio, al suo posto fanno uso del sughero specialmente nelle botteghe dei carri, come intorno ad Elide e a Sparta. Non cresce in tutta l'Italia mentre non cresce affatto in Gallia.
Da Plinio il Vecchio ricaviamo delle informazioni interessanti, anche se non prive di qualche contraddizione dal punto di vista botanico. Sappiamo per certo dalla storia personale di Plinio che sotto l’imperatore Vespasiano fu procuratore nella Hispania Romana e in quell’occasione abbia studiato l’agricoltura spagnola. Come è possibile allora che non abbia visto le migliaia di sughere monumentali presenti in molte regioni della Spagna e del Portogallo attuali? Inoltre lui stesso, nel secondo capoverso, dice di aver visto delle “tavole” di sughero di 3 metri, il che presuppone un albero con un tronco di un metro di diametro, che si fatica a definire “molto piccolo”. Potremmo cercare delle motivazioni a questa sua osservazione.
La prima è che non abbia visitato le zone forestali in quanto interessato all’agricoltura, però appare curioso per ragioni storico politiche. La città di Emerita Augusta (l’attuale Merida in Estremadura) è stata fondata nel 25 a.C. ed era, ai tempi di Plinio, una città ricca ed importante, capitale della Lusitania. Seguendo la “ruta de la plata”, la via dell’argento, sarebbe giunto a Italica (nei pressi dell’attuale Siviglia che pochi anni dopo avrebbe dato i natali all’imperatore Traiano) e quindi da lì, seguendo il corso del Guadalquivir, sarebbe arrivato a Gades (Cadice) da dove probabilmente si imbarcò per visitare il nord Africa. Questa strada passa proprio a fianco della sierra che è coperta per larga parte da sughere e castagni.
La seconda è che all’epoca di Plinio non ci fossero querce da sughero nella penisola iberica, cosa che però viene smentita da ritrovamenti antecedenti (addirittura risalenti all’età del ferro) di utilizzo del sughero per l’apicultura, pratica ancora oggi in uso e, soprattutto dagli studi paleobotanici che assegnano un ruolo determinante nella forestazione della penisola iberica alle specie del genere quercus, inclusa ovviamente la specie quercus suber. Rimane dunque il dubbio di perché Plinio abbia definito “piccolissima” la quercia da sughero, e sul perché abbia definito rada la produzione di ghiande.
Lucio Giunio Moderato Columella (7 d.C. – 70 d.C.), gaditano (di Cadice) di nascita e coevo di Plinio, raccomanda più volte l’utilizzo del sughero per la corretta costruzione delle arnie16 ed anche per la chiusura delle anfore vinarie. Inoltre, sempre Columella, descrive minuziosamente l’allevamento del maiale, nelle sue diverse varietà, approfondendo l’argomento del maiale nero e della migliore resa del gusto dei prodotti da esso derivati se il maiale viene alimentato con ghiande di sughero. Il che contrasta con l’affermazione di Plinio e con la realtà dei fatti, in quanto la quercia da sughero è una specie piuttosto prolifica in termini di ghiande, non fosse altro per la loro dimensione molto maggiore di quella delle ghiande di altre querce che ne possono dividere l’ambiente di crescita. Le conoscenze attuali ci dicono che la sughera è una delle tre specie di querce con la maggiore produzione di ghiande, che arriva a superare i 100 kg/pianta.
La quercia da sughero ed il sughero, dunque, sono stati utilizzati e studiati nell’antichità in quanto considerati prodotti agricoli e forestali.
14 Pignatone Marco Antonio. La botanica di Teofrasto. Un manifesto per una concezione ecologica e non antropocentrica del vivente. Università degli Studi di Messina, , 2019.
15 Plinius Caius Secundus. Historia naturalis. 1513.
16 Columella Lucio Moderato. De Agricoltura. Venezia: 1559.
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